Era una domenica mattina del 14 gennaio 1968 in Sicilia, quando nella valle del Belice, iniziò una lentissima danza di scosse sismiche. In quell’epoca per scarsa evoluzione tecnologica non furono valutate a sufficienza , trovandoci in zone periferiche e poco monitorate. Nella notte degenerarono, alle ore 03:14 si scatenò una violentissima scossa della durata infinita di 56 secondi che senza lasciare scampo, demolì alcuni paesi della zona a ridosso delle provincie di : Agrigento, Trapani, Palermo. Il mio paese, Santa Margherita di Belice di circa 10.000 abitanti ed altri piccoli centri, come Montevago, Salaparuta, Poggioreale, Gibellina, Santa Ninfa, e altri paesi; furono rasi al suolo, a causa di molte abitazioni vecchie, costruite con criteri e materiali poveri come il tufo. Quella fu una notte di morti, di feriti e di distruzione, cambiarono per sempre le tradizioni e quelle che erano le nostre culture arcaiche. Sembrò che la terra sotto i piedi si dovesse aprire per inghiottirci. Per circa due mesi si protrasse un susseguirsi di scosse sismiche forti. La mia famiglia era composta da Papà, Mamma, un fratello maggiore e due sorelle, fra cui la piccola Carlotta di appena due anni. La prima vittima, sarebbe potuta essere Carlotta che scampò alla morte perché quella notte di gennaio freddissimo con un pò di neve fuori, era andata a dormire nel letto con mamma e papà. In pieno sonno, un forte boato ed un possente tremore, scossero le mura della nostra casa e fu una caduta di mobili e tanti oggetti casalinghi. La prima parete che crollò verso l’interno fu un enorme blocco di arenaria e intonaci di gesso che si abbatté sulla culla di legno di Carlotta schiacciandola per l’enorme peso. Questa interminabile situazione, vissuta con qualche candela accesa con mani tremolanti, polvere proveniente dalla parete crollata ci terrorizzò, bloccandoci anche le lacrime. Ci riprendemmo fuggendo con le ali ai piedi da quello che era rimasto della nostra casa. Appena fuori in strada trovammo altre persone, vicini in pigiama, scalzi, impolverati, sanguinanti, devastati dal dolore per la perdita dei propri cari nel sonno e delle proprie abitazioni mentre il tremore di alternava e qualche spento raggio di luna ci svelava la sconvolgente disumana tragedia. Oltre le persone, sentivamo e ci scansavano da tanti animali in fuga, terrorizzati, zoppicanti e feriti, fuggiti dai cortili e dalle stalle. Nei paesi colpiti dal sisma, la popolazione fu costretta a rifugiarsi negli spazi aperti delle campagne, adattandosi a ricoveri d’emergenza. Ricordo ancora la mattina seguente alla luce del giorno ci trovammo a ridosso del paese in un ampio spazio. Tutti storditi ed increduli con la totale mancanza di coperte e cibo. La terra continuava a tremare esaurendo tutti i “Padre nostro e Ave Maria” e anche le lacrime. I grandi cercarono con delle canne, qualche bastone e un telone per la raccolta delle olive per montare una piccolissima capanna per i bambini. Il primo giorno trascorse senza avere un minimo di assistenza, a causa delle difficoltà riscontrate dai soccorritori, le strade erano impraticabili, piene di macerie, e molti ponti di collegamenti viari erano crollati. Mio padre e mio fratello decisero di andare alla disperata ricerca di aiuto per procurarsi un po’ di latte per Carlotta e qualcosa per noi. Trovarono aiuto in un gruppo di coraggiosi conoscenti con analoghi bisogni e spirito di sopportazione, con la consapevolezza di un prete decisero di aprire un varco in un muro crollato razziando un negozietto di generi alimentari con quel poco che riuscirono a rimediare. Mio padre tornò con un pò di scatolame ma niente latte. Riuscirono a risolvere il bisogno con la mungitura di alcune pecore che girovagavano come per miracolo nei dintorni e con un tegame di fortuna e un pò di legna, in qualche modo si rimediò. Il paese era un cumolo di macerie, il terremoto aveva provocato tanti morti, e tanti ancora sotto i detriti, feriti chiedevano aiuto soffrendo pesanti pene, altri anziani vagavano nel nulla come automi. Finalmente dopo qualche giorno, giunsero i primi soccorsi militari e vigili del fuoco, seguiti ed aiutati da una commovente solidarietà giunta da tutti i paesi vicini e da tutta la nazione e dall’Estero, coadiuvate dalle Pubbliche Autorità. In quella cruda realtà mi trovai con i “miei undici anni”, a vivere queste tragiche e sorprendenti giornate che mi regalavano distrazioni ogni giorno. Nel frattempo passata qualche settimana, stava sorgendo sempre più grande un campo formato di una tendopoli con un continuo via vai di mezzi anche di notte, che portavano: strutture , vestiti, alimenti e piccole comodità con regolare pranzi e cene preparati con cucine da campo militari e gruppi elettrogeni . Mentre il terremoto si attenuava i giorni trascorrevano veloci, si stava organizzando un minimo di servizi, come le scuole sotto le tende e i punti di pubblica utilità come un autobus che funzionava da ufficio postale mobile. Le notizie erano divulgate da gazzettini radio e da qualche raro giornale. In quei giorni una mattina in un campo vicino la tendopoli atterrarono due elicotteri con l’allora Presidente del Consiglio “Aldo Moro” che per prima cosa strinse la mano a noi ragazzini con quella espressione mite che lo accompagneranno sempre, cosa che mi riportò alla mente, anni dopo per sua tragica fine. Ricordo un giorno con mio padre sotto una tenda ricreativa, conoscemmo un signore piemontese uno dei tantissimi volontari, di cognome “Zocca” che dopo una breve conversazione, lasciò a mio padre un giornale che si era portato durante il viaggio in treno. Quel giornale era “ La Stampa di Torino” Quando tornammo dentro la nostra tenda mio padre ci lesse a voce alta i contenuti e nonostante i miei undici anni, capii che la realtà era ancora più crudele. Erano morti parecchi bambini, schiacciati dalle macerie delle proprie case e tantissime famiglie intere. Quel “ 68” per l’Italia fu una grande rivoluzioni di movimenti e di diritti; per la nostra famiglia, rimarrà un brutto momento per la vita. Intanto tra le tende e le prime baracche di legno e lamiere si stavano consolidando a Santa Margherita di Belice ed in tutti i paesi coinvolti un minimo di organizzazione abitativa. Il 24 dicembre del “ 68” mio padre senza dare un minimo segnale, per un collasso, lasciò questo mondo, dopo aver patito tante vicissitudine e la costante preoccupazione per la nostra famiglia. Fu un altro duro colpo per noi. Riprendemmo a vivere in quel contesto di tende e di baracche costruite stile villaggi americani in un “provvisorio” durato circa 20 anni. Mia madre santa donna di certo non si annoiava; lavorava in una scuola, e tornando a casa con quattro figli, trovava sempre una rivoluzione continua. Cercavamo sempre di distrarla dalle brutture che passano nella vita. Aiutati da tanta solidarietà, studiando e lavorando sembrava che si viaggiasse in parallelo ai continui cambiamenti delle abitudini e innovazioni. Con il passare degli anni tutto si affievolì ed i paesi risorsero come un’ araba fenice anche grazie all’impegno dei cittadini e delle costanti democratiche lotte per ottenere un abitazione con criteri antisismici. Purtroppo oggi tutto è cambiato, molti anziani sono partiti, ma qualche sana ed educativa tradizione continua ad esistere. I nostri paesi si sono sviluppati incentivando l’agricoltura, dando un forza economica contribuendo a vivere nel nostro territorio. La nostra famiglia si è ingrandita di parecchio, di quelle giornate restano l’amarezza, lo stupore e lo smarrimento per l’impotenza di fronte a queste tragedie. I ricordi invece nel tempo iniziano a restare indietro. Del giornale “ La stampa” letto sotto la tenda è conservato con altri oggetti dentro una vecchia valigia. Si sono dissolte nelle pagine del tempo, così come il volontario piemontese “ Zocca” e di tante commoventi amicizie. “ La Stampa di Torino” oggi la leggo sempre.
“Ogni qualvolta capita di uscire dagli schemi normali della vita succedono degli eventi siamo tutti destinati a perdere o
guadagnare qualcosa” La mia filosofia di vita cit. Pippo Monteleone
Santa Margherita di Belice Pippo Monteleone
Ottobre 2022
N.b. questa è una storia vera
Assegnati i premi di La poesia salva la vita
03 Ottobre 2017
Successo anche di pubblico per la cerimonia di premiazione dei vincitori del 16° Concorso nazionale di poesia e narrativa «Vittorio Alfieri», organizzato dall’associazione «La poesia salva la vita» guidata da Vittoria Bruno, sabato in P. Provincia Asti. Hanno partecipato 230 autori da ogni parte d’Italia e dall’estero. Questi i vincitori: poesia in lingua italiana, Francesco Di Dio, Cosenza; narrativa in lingua italiana, Stefano Borghi, Milano. Poesia in lingua piemontese, Primo Vittone, Varallo Sesia; narrativa in lingua piemontese, Luigi Ceresa, Novara. Sezione Libri: Nicola Piovesan, Vicenza. Nella sezione giovani ha vinto Reika Musumeci, Palagonìa (Ct). Tra i premi speciali Renata Sorba di Asti, Medaglia della Provincia. Targhe de La Stampa a Pippo Monteleone, S. Margh. B. (Ag). [A. B.]
N. b. Articolo scritto e collegato in
occasione del 150° della fondazione
della Stampa di Torino
S. M. B. ottobre 2022 Pippo Monteleone
Invio 2 foto del periodo “68”
Tendopoli / servizi Post.